Sentenza n. 41 del 1962
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SENTENZA N. 41

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, e della legge 10 dicembre 1959, n. 1085, promosso con ordinanza emessa il 19 maggio 1961 dal Pretore di Padova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Napolitan Luigi e Voltan Giuseppe e tra Lazzarin Pietro e Betto Sante, iscritta al n. 84 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 15 luglio 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 4 aprile 1962 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza emessa il 19 maggio 1961 nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Napolitan Luigi e Voltan Giuseppe e tra Lazzarin Pietro e Betto Sante, il Pretore di Padova - Sezione distaccata di Conselve - ha sottoposto a questa Corte alcune questioni di legittimità costituzionale nei confronti del decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, che istituì l'indennità di caropane, e della legge 10 dicembre 1959, n. 1085, che soppresse l'indennità stessa per i lavoratori agricoli, conglobandone l'importo - nella retribuzione.

Una volta che si riconosca - secondo l'interpretazione accolta dal Pretore - la spettanza, prima, dell'indennità di caropane, e ora della maggiorazione della retribuzione dei lavoratori agricoli, non a tutti i lavoratori, ma soltanto a quelli non produttori di grano e non beneficianti di razioni di pane a carico dei datori di lavoro, e si escluda, in conseguenza, che il relativo importo abbia carattere integrativo della retribuzione, non sarebbero infondati - assume l'ordinanza - i dubbi sollevati dai datori di lavoro convenuti in quei giudizi, circa il contrasto dei riferiti testi legislativi, da un lato, con l'art. 38 della Costituzione, risolvendosi l'indennità in una forma di assistenza a favore di una particolare categoria di cittadini, posta a carico di un'altra categoria di cittadini anziché della collettività, e, dall'altro, con l'art. 41 della Costituzione, risolvendosi il maggior importo dovuto dai datori di lavoro in un non consentito sacrificio della loro libertà economica.

Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale viene poi prospettato d'ufficio dal Pretore, in alternativa rispetto a quelli riferiti, e si basa sul rilievo che, considerando l'indennità, e, rispettivamente, la maggiorazione come parte integrante della retribuzione spettante soltanto a talune categorie di lavoratori, tanto il decreto legislativo del 1947, quanto la legge del 1959 si porrebbero in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, che garantisce, a parità di lavoro, uguale retribuzione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata. Nel giudizio innanzi a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento depositato il 15 giugno 1961.

Premesso che, una volta accolta l'interpretazione legislativa da lui prospettata, il Pretore di Padova avrebbe dovuto respingere la domanda attrice, e non investire la Corte costituzionale delle questioni sollevate, l'Avvocatura, condividendo la tesi che l'indennità di caropane spettava soltanto ad alcune categorie di lavoratori, osserva nel merito che essa nondimeno non aveva carattere assistenziale, bensì di integrazione della retribuzione, avendo la finalità di realizzare un conguaglio della retribuzione di quei lavoratori che, per "circostanze oggettive", si trovassero in una particolare situazione in cui il salario normale risultasse inadeguato al sostentamento. Ciò sarebbe confermato dalla lettera e dallo spirito della legge del 1959. Sostanzialmente con l'indennità in questione - e con la maggiorazione prevista dalla legge del 1959 - si realizzò un sistema di salario differenziato sulla base della differente situazione oggettiva dei lavoratori: cosa pienamente conforme allo art. 36 della Costituzione, e con la quale non ha nulla che vedere l'art. 38, che attiene, invece, alla materia assistenziale. Del pari non sussiste alcuna violazione dell'art. 41 della Costituzione, dato che questo condiziona la libertà d'iniziativa economica all'utilità sociale, "e così al rispetto dei principi sociali e solidaristi dell'art. 36".

All'udienza di trattazione l'Avvocatura dello Stato ha insistito in tali considerazioni, concludendo perché le questioni sottoposte alla Corte siano dichiarate infondate.

Considerato in diritto 

L'indennità di caropane per i lavoratori fu istituita col decreto legislativo 22 febbraio 1945, n. 38, a carico dei datori di lavoro (artt. 4 e 5), ed ebbe nuova disciplina col decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, modificato col decreto legislativo 16 luglio 1947, n. 770, e con la legge 7 luglio 1948, n. 1093. La finalità che ne ispirò l'istituzione fu quella di perequare le retribuzioni in conseguenza dell'aumento del prezzo del grano, derrata fondamentale per l'alimentazione della generalità della popolazione e, in particolare, delle categorie lavoratrici. Dato l'intento legislativo, fin dalla prima istituzione dell'indennità ne furono esclusi quei lavoratori che fruissero della razione di pane a carico dei datori di lavoro e quelli direttamente approvvigionati di grano in qualità di produttori. Siccome all'epoca vigeva il razionamento alimentare, sia il decreto legislativo del 1945 (art. 4), che quello del 1947 (art. 10), disponevano poi che essa fosse corrisposta solo alle persone munite di carta annonaria individuale per il pane e la pasta.

Soppresso successivamente il tesseramento annonario, sorse questione se l'indennità sopravvivesse, e se - una volta risolto tale dubbio in senso positivo - continuassero a esserne escluse le menzionate categorie di lavoratori non abbisognevoli di acquistare pane dal mercato. La giurisprudenza e la dottrina assolutamente prevalenti risolsero entrambi i dubbi in senso positivo, argomentando dalla mancanza di una nuova normazione in materia e dal persistere, anche dopo la soppressione del tesseramento, delle ragioni (consistenti, come si é detto, nell'elevatezza del prezzo del grano) che avevano ispirato l'istituzione dell'indennità e la esclusione da essa dei lavoratori provvisti di grano o forniti di pane dal datore di lavoro. Tale orientamento merita piena adesione. Del resto esso risulta accolto dalla legge 10 dicembre 1959, n. 1085, la quale, per i lavoratori agricoli "aventi diritto all'indennità di caropane in virtù del decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, e successive modificazioni e integrazioni", ha conglobato l'importo dell'indennità stessa nel "salario base della retribuzione" (art. 2), in tal modo maggiorando quest'ultimo in misura pari a quell'indennità, che in pari tempo sopprimeva (art. 1).

Anche in ordine alla natura dell'indennità appare esatto l'orientamento, quasi incontrastato nella giurisprudenza e nettamente prevalente nella dottrina, che ne esclude il carattere assistenziale (evidente, invece nell'analoga indennità istituita con l'art. 3 del decreto legislativo 22 febbraio 1945, n. 38, a carico dello Stato e a favore di persone bisognose e beneficiarie dell'assistenza pubblica) e la configura come elemento integrativo della retribuzione. La retribuzione, infatti, non va commisurata soltanto alla qualità e quantità del lavoro prestato, ma - come risulta dall'art. 36 della Costituzione, e già é stato affermato da questa Corte nella sentenza n. 30 del 1960 - deve, altresì, adeguarsi alle esigenze minime di vita - obbiettivamente determinate - del lavoratore e della sua famiglia. Non v'ha dubbio, quindi, che l'indennità di caropane, date la finalità per cui venne istituita e la descritta regolamentazione legislativa, si presenti coi caratteri di elemento della retribuzione. Né alcun dubbio può sorgere, nei medesimi sensi, nei confronti della "maggiorazione" sostitutiva dell'indennità di caropane, introdotta con la citata legge del 1959, dato che espressamente questa ultima la configura come "aggiunta al salario base della retribuzione".

Fissate tali premesse, é facile la dimostrazione della infondatezza delle censure di incostituzionalità sollevate dall'ordinanza di rimessione nei confronti del decreto legislativo del 1947 e della legge del 1959.

Definito il carattere retributivo dell'indennità di caropane e della "maggiorazione" sostitutiva di essa, ed escluso il carattere assistenziale di entrambe, é chiaro che l'art. 38 della Costituzione, alla cui stregua l'ordinanza di rimessione chiede - tra l'altro - che i provvedimenti legislativi impugnati vengano esaminati, é fuori causa, dato che riguarda soltanto la materia assistenziale.

Anche il dubbio di legittimità che l'ordinanza di rimessione solleva in relazione all'art. 36 della Costituzione non ha però alcuna consistenza. Secondo il Pretore i provvedimenti legislativi impugnati, dando diritto a una maggiorazione di paga, a parità di lavoro, soltanto a taluni lavoratori (quelli non produttori di grano e non provvisti di razione di pane da parte del datore di lavoro), sarebbero in contrasto col principio (risultante dal citato articolo), che esigerebbe, in linea assoluta e inderogabile, "a parità di lavoro, parità di retribuzione". Ma tale principio non é scritto nell'art. 36. Come si é già detto, questo, pur disponendo che la retribuzione sia "proporzionata" al lavoro prestato, esige che, comunque, essa sia in grado di assicurare a ciascun lavoratore e alla sua famiglia un minimo di condizioni che consentano un'esistenza "libera e dignitosa". Onde non possono esser considerate in contrasto col precetto costituzionale le disposizioni legislative, che - come quelle in esame -, nell'intento di assicurare a tutti i lavoratori un "minimo vitale", differenzino, a fine perequativo, la retribuzione dei lavoratori costretti ad acquistare generi di sussistenza di prima ed elementare necessità, rispetto a quella dei lavoratori che, provvisti altrimenti di tali generi, non sono esposti alla relativa spesa.

Ancor più infondata é poi la questione circa la incompatibilità dei testi legislativi impugnati con l'art. 41 della Costituzione. Le disposizioni impugnate, essendo palesemente ispirate a esigenze di utilità sociale e di dignità umana, sono infatti in piena consonanza col secondo comma dell'art. 41, il quale consente limitazioni alla libertà d'iniziativa economica per ragioni di utilità sociale e di tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte con l'ordinanza indicata in epigrafe, del decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, intitolato: "Corresponsione dell'indennità di caropane ai lavoratori con rapporto di lavoro già assoggettabile alla disciplina del contratto collettivo", e della legge 10 dicembre 1959, n. 1085, intitolata: "Soppressione dell'indennità di caropane di cui al decreto legislativo 6 maggio 1947, n. 563, e maggiorazione delle misure di assegni familiari per i lavoratori agricoli", in riferimento agli artt. 36, 38 e 41 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1962. Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 26 aprile 1962.